Prima neve a Malga Paludei


Con il sopraggiungere dell’autunno è comparsa la neve sui monti della valle. E’ scesa fino a 1600 metri di quota imbiancando non solo le cime ma anche i boschi e i pascoli più elevati. Poi è ritornato il sole e con esso la voglia di salire lassù dove la neve aveva rischiarato e imbiancato il paesaggio. Così mi inerpico sulla ripida scorciatoia che dai Masi di Palù, poco sopra il Fontanino di Pejo, conduce attraverso il bosco, direttamente in Val dei Orsi, sul grande pascolo pianeggiante attraversato della strada militare proveniente da Frattasecca.


Mi trovo al bordo del prato, nascosto tra i larici, quando il sole inizia a illuminare le cime sovrastanti. Cime  che incombono su di un lungo pendio erboso tappezzato nella zona inferiore da fitte macchie di ontano verde.  Qua e là resiste ancora la neve caduta da poco. Lassù, in alto, forma piccole isole bianche e allungate nel mare di erba secca e gialla.
Dalle folte fustaie del versante opposto giungono forti e frequenti i bramiti del cervo in amore. Nella luce incerta dell’alba osservo trepidante con il binocolo il pendio alla ricerca di qualche esemplare uscito allo scoperto. Nulla. Poi, inaspettato, a poca distanza, un giovane e robusto fusone emerge dai cespugli e risale lentamente la scarpata pascolando placidamente.



Più tardi, quando il sole ha ormai inondato la zona, fa la sua comparsa un grande cervo maschio, immobile, là in alto, dove i cespugli lasciano il posto alle praterie. Lo osservo da lontano, sono affascinato dai suoi bramiti ma rinuncio ad un avvicinamento, allo scoperto, su di un pendio così brullo.
Con il sole alto nel cielo il magico momento del bramito dei cervi si sta dissolvendo. Mi giunge ancora sporadico qualche mugghio sempre più debole e meno convinto ed è quindi arrivato il momento di abbandonare la zona e di riprendere il cammino.




Toccando Malga Giumela, proseguo per la stradina che tagliando il versante sovrastante il lago del Palù, conduce a Malga Paludei. Qui, nei pressi della malga, mi fermo, riposo e osservo le cime che fanno da corona alla parte terminale della Val del Monte. Il Corno dei Tre Signori, dove nasce il fiume Noce, la Montagna di Ercavallo, le creste di Val Umbrina, il Redival con le sottostanti Val Montozzo e Val Comiciolo, la Val Pudria



Qui, su questi monti, durante la prima guerra mondiale, si combattè aspramente. Malga Paludei fu permanentemente presidiata dalle truppe austroungariche impiegate nel controllo della testata della Val del Monte che attraverso il Passo Sforzellina comunica con il Gavia, allora in mano al nemico italiano. Oggi, a Malga Paludei, non ci si imbatte in resti significativi che ricordino quel triste periodo ma una grande croce, un segno potente,  domina una piccola altura nei pressi della malga. Ai piedi della croce vennero sepolti i militari austriaci e italiani caduti in questa zona.



Potrei proseguire, sul sentiero che porta in Val Piana e su fino al Lagostel ma decido di non andare oltre. Riposo, osservo il magnifico panorama, ripercorro mentalmente le mie escursioni giovanili sulle cime e creste circostanti accompagnato dal volo dell’aquila… Lassù sotto il Redival, rivedo la pernice bianca nel nido al riparo della roccia, i branchi di camosci e il cucciolo di stambecco apparsi all’improvviso, i fiori sconosciuti, mai visti prima…   Poi, lentamente, nel primo pomeriggio faccio ritorno per la stessa via percorsa in mattinata.


Guarda le fotografie in Google Foto



Ai piedi della grande croce furono sepolti molti dei caduti nei dintorni di Malga Paludei durante la grande guerra.
La scritta su una delle due piastra di pietra ai piedi della croce ricorda uno di questi soldati morto a soli venti anni.
L’altra lastra, più grande, riporta quanto un anziano tedesco, disse, nel 1965, a un giovane pastore del luogo, durante un suo ritorno, quasi un pellegrinaggio, a Malga Paludei, dove aveva combattuto durante il primo conflitto mondiale. Le parole del vecchio soldato, nel ricordo del bambino pastore, sono queste: “Io venuto qui prima di morire, perché qui imparato tante cose, ho conosciuto la guerra, ho imparato che meglio amarsi che uccidersi; sono venuto per salutare miei amici, per pregare per loro ed anche per nemici, per dire mio figlio non dimenticare mai questo, devi sempre ricordarlo ai tuoi figli e anche tu, pampino, ricorda; quando tu grande, non dimentica di dire ai tuoi pampini”.

Una croce per non dimenticare: clicca e trovi i dettagli di questa storia.

Cervi in perlustrazione sulle Mandriole



E’ buio pesto quando, parcheggiata l’auto al Fontanino di Pejo, raggiungo lentamente il lago artificiale del Palù. La strada bianca sale ripida nella notte senza luna. Nel bosco fitto rischiaro il cammino con la lampada frontale.
Dovremmo essere ormai prossimi al periodo degli amori dei cervi e, nel silenzio della notte, mi giunge un bramito dai boschi che avvolgono il versante opposto. Un solo bramito, però… probabilmente non è ancora tempo di accoppiamenti.
La vista dall’alto delle potenti luci che, poste a guardia dello sbarramento del lago, si riflettono nelle oscure acque sottostanti mi inquieta e mi induce ad allungare il passo… Ma ormai verso oriente si fa giorno e appaiono netti i cupi contorni dei monti che separano la Val di Pejo dalla Val di Rabbi, le creste rocciose che contornano i valichi Cercen e  Cadinel. Nuvoloni ombrosi, che appaiono ancora più scuri nella esile luce dell’alba, coprono l’estremità  della val del Monte sovrastando minacciosi il Corno dei Tre Signori e i crinali della Montagna di Ercavallo. Ero partito con un cielo tutto sereno, meravigliosamente stellato ma ora… Voglio credere che il sorgere del sole spazzerà ogni nebbia e ogni nube e con esse il mio turbamento e proseguo deciso verso Malga Giumela.
Pian, piano si fa  giorno. Il lungo, chiaro, edificio della malga emerge dal livido pascolo contro il nero del bosco. Le finestre sono illuminate. I pastori sono al lavoro: mungitura del primo mattino. Mi giunge lo scampanio delle mucche in movimento e l’abbaiare furioso di un cane. Evito di costeggiare l’edificio (preferirei incontrare un orso piuttosto che un cane furioso) e tagliando per il prato raggiungo in breve la stradina che conduce ai Paludei.






Ormai la visibilità è buona. Abbandono la via comoda e salgo nel bosco ripido, per sentierini e tracce appena riconoscibili fino ai pascoli alti e ai lariceti al limite della vegetazione arborea. Mi sistemo comodamente in un avvallamento del terreno e osservo trepidante il versante che mi sovrasta.

In alto, sul bordo del bosco, due giovanissimi cervi brucano le erbe bruciate dal sole di una torrida estate. Poco sopra, tra gli alberi contorti, compare un terzo cervo, di poco più anziano che lentamente scende sul pascolo. E’ apparso il sole ma non rischiara la zona chiuso com’è in un fitto strato di densi nuvoloni scuri. Tranquilli i tre esemplari seguitano a pascolare interrompendo, di tanto in tanto, per controllare attentamente la zona. Qualche raggio riesce a bucare le nubi e a rischiarare il pendio, il tempo, come mi attendevo, sta migliorando.
Una mossa troppo brusca, un leggero spostamento per riprendere il panorama, mi tradiscono e, sembra impossibile, i cervi subito intuiscono la presenza estranea e dopo poco rientrano velocemente nel bosco.
Attendo. Solitamente in questa zona si osservano al pascolo i branchi delle femmine che con i loro piccoli si nascondono nel bosco solo a mattinata inoltrata.  Oggi nessuna cerva si presenta all’appuntamento… probabilmente qualche maschio dominante ha già raggruppate le femmine per formare il suo harem, chissà dove...
Due meravigliosi esemplari, con un folto “trofeo”, si stagliano all’improvviso contro il cielo fattosi limpido e sereno. Una grande emozione, peccato siano così distanti. Osservano a lungo il panorama che da lassù deve essere spettacolare. Il più anziano è molto chiaro, l’altro molto scuro: un stupenda coppia probabilmente in perlustrazione, alla ricerca di femmine disperse da raccogliere nell’ harem. Lentamente si allontanano percorrendo per un breve tratto il crinale e scomparendo alla vista seguendo le  tracce odorose delle cerve. 



Attendo. A lungo. Quando ormai sono rassegnato a ricomporre lo zaino e a rientrare, un improvviso trambusto proveniente dal lariceto al mio fianco mi fa trasalire. Compare inaspettato e fulmineo un bel maschio che attraversa il versante al galoppo, fermandosi di tanto in tanto per ispezionare la zona. Non è molto distante e riesco, con qualche difficoltà, vista la sorpresa, ad inquadrarlo e a fissarne l’immagine. Stupendo.
Una bella apparizione che si dissolve però in pochi istanti: peccato... ma valeva comunque la pena di salire fin quassù.






Attendo. A lungo. Ancora più a lungo ma inutilmente. Scendo quindi a valle al termine di una mattinata trascorsa  sui miei monti, appagato dalla vista dei cervi maschi in perlustrazione, nell’attesa, loro e mia, del periodo del bramito, ormai alle porte. 

"C'è un'emozione più forte di uccidere. lasciare in vita"  -Curwood-


Guarda tutte le fotografie in Google Foto

Fotografie dei cervi riprese con obiettivo Pentax 300 mm f 4.0, alcune con teleconverter 1.4x originale. Molte ritagliate in post produzione vista la notevole distanza di ripresa.

Cervi sugli alti pascoli

In Val Del Monte nel Parco Nazionale dello Stelvio

Siamo ormai prossimi al tempo degli amori del cervo che vede, a cavallo dei mesi di settembre e ottobre, gli instancabili cervi maschi, indaffarati a raccogliere e raggruppare le femmine e a controllarle e proteggerle dalle avance dai rivali. E’ il periodo in cui dai boschi e dai pascoli si diffondono, per l’intera valle, i possenti bramiti che segnalano l’ubicazione deghi harem dei cervi dominanti.







Al termine della prima decade di settembre vale quindi la pena di salire sugli alti pascoli del Parco Nazionale dello Stelvio, per verificare la presenza e la posizione dei cervi, nell’attesa di poterli osservare più avanti, tra pochi giorni, nelle loro autunnali ardenti esibizioni.


Mi reco quindi al Fontanino di Pejo, in Val del Monte, e raggiungo, all’alba le zone solitamente frequentate da questi ungulati, a monte del Lago di Pian Palù. La fitta, ripida distesa d’erbe alte e secche brilla a sole del primo mattino quando mi apposto, al riparo di un masso, a valle di un ampio pendio libero dalla vegetazione arborea. Non devo attendere molto per veder sbucare in alto, da un rado lariceto sul mio fianco, alcune cerve con i piccoli dell’anno. Attraversano il pascolo avviandosi più a valle, verso il folto del bosco. Avvertono la presenza estranea e ritornano velocemente sui loro passi nascondendosi tra i larici.




Poco più tardi sbucano altri esemplari, fusoni, femmine con i giovani, da soli, in coppia o in minuscoli gruppi e tutti attraversano più o meno velocemente la grande radura dirigendosi verso il bosco. Molto in alto, quasi contro il cielo, si affacciano improvvisamente tre maschi che, dopo aver brucato a lungo le erbe coriacee del pascolo, si distendono a sonnecchiare in un piccolo avvallamento ombroso scomparendo alla vista.




Il sole è alto, gli animali ormai riposano nel bosco fitto o nascosti in qualche depressione del terreno. E’ inutile attendere oltre. Scendo a valle ripromettendomi di ritornare quassù, tempo permettendo, tra una settimana o poco più, quando si potranno udire i primi bramiti dei cervi in amore.



Con un clic puoi guardare tutte le fotografie in Google Foto


Foto dei cervi eseguite con obiettivo Pentax 300 mm f 4. Alcune con teleconverter 1.4x originale. Ritagliate in post-produzione vista la notevole distanza di ripresa...

Il fiore velenoso di fine estate



Pomeriggio di pioggia. Tedioso pomeriggio. Decido di uscire con il mio grande ombrello, per una breve passeggiata sulla strada del Fil, che costeggia il torrente Vermigliana. Porto la macchina fotografica perché “non si sa mai…”. Nei prati è sbocciato il colchico autunnale, il bel fiore di fine estate. Piove a dirotto ma non riesco a trattenermi e sotto l’ombrello, con qualche ardita acrobazia, rubo qualche immagine tra l’erba alta e gocciolante.



Il mattino seguente: freddo settembrino, cielo sereno e aria tersa. Ritorno nel prato dei colchici con il sole che lambisce i cespugli e le erbe ancora fradice d’acqua. Sui fiori le gocce risplendono ai raggi radenti tra l’ombroso groviglio delle erbe e colgo altre immagini del bel fiore tossico che dà l’addio alla bella stagione...

Il “Colchicum autumnale" è un fiore simile ai croco, sboccia tra la fine di agosto e il mese di settembre. Spunta numeroso in molti prati dell’ alta valle. E’ tossico in ogni sua parte ma in particolare lo sono il bulbo e i semi che maturano la primavera successiva alla fioritura.


Guarda le fotografie in Google Foto

Fotografie scattate con obiettivo macro 100 mm f 2. 8.





Il laghetto di Ortisè


Mai avrei sospettato che sulle vaste praterie di montagna, esposte a mezzogiorno, bruciate dal sole, brulle e apparentemente aride, dominate dalle cime, Vegaia, Le Pozze, Bassetta, Valletta, Mezzana, potesse estendersi un laghetto così grande e profondo… ma non solo… che esistessero anche ampie zone umide, pozze acquose e paludose, alimentate da innumerevoli piccole polle d’acqua.
Il mio amico, che conosce molto bene la zona (era allevatore e le sue mucche passavano l’estate all’alpeggio sui pascoli di Malga Bronzolo), mi ha guidato sulle rive di questo incredibile specchio d’acqua, a 2450 m di altitudine. Mi ha guidato con sicurezza, nella quasi totale assenza di una qualsiasi segnaletica, seguendo sentierini e tracce poco frequentati, soddisfatto di rivedere, con gli occhi del pensionato, quei luoghi che un tempo non aveva potuto ammirare con la tranquillità e la serenità indispensabili per coglierne e gustarne a pieno la bellezza.
Il Lago di Ortisè e sullo sfondo la Cima Presanella









Partiamo in auto con la stella del mattino ancora molto brillante nel rosso cupo dell’aurora.






Raggiunto e superato Ortisè, paese natale del grande micologo Giacomo Bresadola, saliamo in auto fino al nuovo ristorante Malga Stabli.





Proseguiamo a piedi sulla strada forestale fino a Malga Bronzolo: le mucche sono ormai scese sui pascoli bassi ma nei dintorni staziona un gregge di pecore con alcuni agnellini appena nati.






Riposiamo mentre il pastore ci intrattiene raccontandoci della presenza dell’orso nei dintorni e delle pecore sbranate durante i mesi precedenti.






Procediamo imboccando il sentiero, inizialmente molto erto, che porta a Passo Valletta (il Passo Valletta mette in comunicazione con la val di Rabbi e permette di scendere all’abitato di S.Bernardo, costeggiando dei bellissimi laghi tra i quali il grande Lago Rotondo).






In vista del Passo, raggiunti dei pascoli estesi e quasi pianeggianti, deviamo sulla sinistra inerpicandoci brevemente e scolliniamo nella valle Molinaccio (Val Mulinaz), la valle della nostro meta.





Quindi, seguendo il tracciato di una vecchia canalizzazione (trasporta l’acqua alla Malga Bronzolo) nella quale è stato posto, a cielo aperto, una grossa tubazione di gomma, raggiungiamo un altopiano a tratti paludoso all’estremità del quale appare il Lago di Ortisè.





Non è più primavera e non possiamo certo assistere alla stupenda fioritura che, dice il mio amico, caratterizza la località nella giusta stagione. Siamo ormai all’inizio di settembre, abbiamo subito un’estate particolarmente torrida e siccitosa e i pascoli sono bruciati dalla siccità.





L’erba è secca, gialla e dorata, e luccica ai raggi radenti del sole del primo mattino ma lungo la sponda del lago, dove qua e là zampilla dell’acqua e dove si riversano i rigagnoli che scendono dalle cime, la natura sembra ridestarsi e vivere una seconda primavera.






All’improvviso l’estesa, pianeggiante distesa delle erbe secche lascia il posto ad un tappeto di muschi ,di sfagni, di piante palustri, di un inatteso verde brillante…





Poi il lago, scuro, dai contorni netti, in parte rocciosi, incredibilmente esteso per l’ambiente che lo ospita… Dei piccoli pesci, probabilmente salmerini, emergono, per un istante, di tanto in tanto, e catturano al volo un qualche piccolo insetto, poi subito scompaiono nell’oscurità delle acque profonde.





Fanno da sfondo alla conca del lago e alla distesa del pascolo in parte paludoso le cime del Gruppo Presanella e le estreme propaggini del Brenta. Un panorama alpestre maestoso ma ormai quasi completamente privo dei nevai perenni ed dei ghiacciai che da sempre lo hanno caratterizzato.


Ricordo le mie ascese alla Cima Presanella, allora ventenne, ramponi e piccozza, su di un ghiacciaio che copriva l’intero versante della montagna, scendendo giù, quasi a ridosso del rifugio Denza. Oggi vedo, purtroppo solo con il binocolo, una Presanella decisamente diversa. Il ghiacciaio si è ritirato moltissimo, addirittura si è diviso in due parti e Passo Cercen, tra l’omonima cima e la Presanella, sembra raggiungibile senza ramponi, su di un terreno ormai privo di neve e di ghiaccio. Ulteriore conferma questa, se mai ce ne fosse bisogno, del cambiamento climatico in atto, destinato ad accelerare ulteriormente se non si prenderanno radicali e rapidi provvedimenti riducendo l’immissione dei gas serra in atmosfera e mutando gli stili di vita di tutti noi...



Il tempo volge al brutto e ci portiamo velocemente a valle seguendo un percorso diverso. Discendiamo, direttamente lungo la valle, attraversando pascoli e piccole paludi e, costeggiando sempre il rio, raggiungiamo la Baita Laghetti. Riposiamo e proseguiamo verso il parcheggio di Malga Stabli, camminando, ormai alquanto affaticati, sulla strada forestale che dalla Baita Laghetti raggiunge, poco a valle della Malga Bronzolo, la via percorsa in mattinata durante nostra salita. Chiudiamo così un percorso ad anello.






Durante la discesa, ci accompagna la vista, sul versante opposto della valle, della stazione turistica di Marilleva con gli impianti e le piste da sci ritagliate nel bosco.
Marilleva: una stazione nata dal nulla negli anni ’70 sull’onda di una “improrogabile necessità di sviluppo turistico”. L’<<ingordigia>> dice il mio amico, ha realizzato questo insediamento. Condivido pienamente: la fame di territori nuovi da sfruttare, la fame speculativa, l’interesse immediato, hanno creato mostri urbanistici ed architettonici: Marilleva... ma non solo Marilleva… Insediamenti squallidi, oggi anacronistici, talvolta cadenti, fonte di problemi economici ed ambientali… Il tutto con il deciso avallo dei politici, degli amministratori, che, miopi, poco lungimiranti, seppero pensare solo all’immediato e non al futuro…... e oggi... i cocci sono nostri…
Ma, discutendo, parlando, parlando, raggiungiamo, quasi senza rendercene conto, il parcheggio di Malga Stabli chiudendo così la nostra lunga e bella gita al sorprendente e poco conosciuto Lago di Ortisè…

Fotografie e indicazioni per raggiungere il Lago di Ortisè si trovano anche in questi siti: GirovagandoinmontagnaVisittrentino e Cralgalleria.

Con un clic puoi vedere tutte le fotografie in Picasa Web Album o in Google Foto