Sul Monte Vigo: turismo ad alta quota

Sognavo un tramonto dorato sulle Dolomiti del Brenta da riprendere dal crinale tra i monti Vigo e Spolverino. In realtà di fotografie ne ho fatte molte, anche belle, ma che non collimano con quelle che avevo immaginato.
Sono salito lassù, un pomeriggio di fine ottobre, con il mio amico. Abbiamo lasciato il piccolo SUV alla Malga di Mestriago e attraverso un sentiero non segnato e poco visibile ci siamo portati a Malga Panciana, dove fervevano lavori di ampliamento e ammodernamento. Saliti al Rifugio Orso Bruno, ci siamo in seguito portati al Rifugio Solander, seguendo il crinale, per scendere infine sulla pista da sci Mastellina fino alla malga dove era posteggiata l’auto. L’intera zona era un cantiere aperto: operai all’opera sugli edifici e sugli impianti a fune in previsione della stagione turistica invernale ormai alle porte.
"Custodire la terra con bontà e tenerezza"
Papa Francesco
Che dire? Bella escursione. Panorama stupendo sul Brenta e sull’ Ortles Cevedale. Ma difficile scattare una fotografia senza includervi elementi estranei al paesaggio naturale: edifici con le più varie destinazioni d’uso, stazioni motrici e di rinvio degli impianti a fune, sostegni di linea, impianti di innevamento, strade di servizio, piste da sci, inerbimenti  artificiali… Antropizzazione totale di un territorio un tempo intatto, utilizzato da sempre in modo sostenibile e in equilibrio con l'ecosistema montano. E’ questo lo scotto da pagare per lo “sviluppo turistico” della valle, per un maggior benessere delle popolazioni locali, per una maggiore occupazione dopo secoli di emigrazione. Ciò che non mi torna, discutendo con l’amico, non è tanto la presenza sui nostri monti di tutti questi impianti a fune, delle piste e tutto il resto, (siamo costretti ad accettarli ma incominciano ad essere un po’ troppi), quanto i criteri che negli anni 70  la politica, forse condizionata da grandi interessi, scelse per lanciare la valle sul mercato turistico: la creazione di stazioni turistiche ex novo in quota sul modello francese allora in voga, anziché pensare di sviluppare gli insediamenti preesistenti di fondovalle. Scelte che, oggi dopo quarant’anni, dimostrano  tutta la loro criticità e mancanza di lungimiranza. "Il peccato originale". I nodi vengono al pettine: realtà slegate dal territorio, frammentazione proprietaria, grande presenza di manodopera esternalizzata, degrado ambientale, paesaggistico e architettonico… Oggi tutti concordano (la politica in primis) sul fatto che “…il modello di sviluppo dell'epoca, con insediamenti in quota si riveli oggi un problema a cui è necessario mettere rimedio…” Ma la responsabilità di quelle scelte? Nessuno ne parla o cerca di giustificare: "facile parlare ora... altri tempi… altra visione…" Qualcuno però nei lontani anni 70 aveva visto giusto, quando mettendo pubblicamente in discussione le scelte urbanistiche del nascente Piano Comprensoriale che prevedeva le stazioni in quota, proponeva un diverso modello di sviluppo turistico per la valle… Manifesti e assemblee... Nessuno ricorda?


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