La centrale idroelettrica di Pònt

Centrali idroelettriche in Val di Sole tra passato, presente e futuro.



Passato e presente


Una volta l'anno, in estate, la centrale idroelettrica di Pont, alla periferia di Cogolo in Val di Pejo, sulla strada che porta a Malgamare, apre le porte al pubblico e tutti, turisti e valligiani, la possono visitare accompagnati dagli addetti HDE (Hydro Dolomuti Enel). Si possono così scoprire e toccare con mano i segreti della trasformazione dell'energia idraulica in energia elettrica.




Approfitto di questa occasione attratto soprattutto dalle caratteristiche architettoniche dell'imponente fabbricato della centrale che da sempre osservo con curiosità passandovi accanto durante le mie escursioni in Val de La Mare. Gli aspetti puramente tecnici, gli approfondimenti specialistici, mi appassionano meno così come quelli “storici”, relativi alle vicende costruttive di questo impianto.
Del resto in valle tutti, tranne forse i più giovani, ricordano o quantomeno hanno sentito parlare della cosiddetta “epopea idroelettrica” che iniziata con la costruzione della centrale di Malgamare e della diga de Careser tra la fine degli anni Venti e la metà degli anni Trenta è proseguita e si è conclusa negli anni Cinquanta con la realizzazione del bacino di Pian Palù. La centrale di Pònt, realizzata tra il 1926 e il 1929 sfruttava inizialmente solo le acque del bacino del Careser provenienti da Malgamare alle quali si sono aggiunte negli anni Sessanta quelle derivate dalla diga del Palù. Nel complesso queste opere comportarono un mastodontico lavoro che richiese l'arrivo di maestranze da tutto il Nord Italia rivoluzionando la realtà economica e sociale della valle. L' “epopea idroelettrica” portò occupazione e quindi un relativo benessere in valle ma portò anche casi di silicosi, infortuni e lutti.




E oggi? Certo i progettisti di queste opere non immaginavano un ritiro così rapido e imponente dei ghiacciai che alimentano le dighe. Colpa dell'effetto serra imputato dai più all'attività umana. C'è da domandarsi che ne sarà dei bacini idroelettrici tra qualche decennio con il cambiamento climatico in corso e il probabile venir meno dei ghiacciai. Si riuscirà a riempire completamente l'invaso?


Entrato nella sala macchine prima dell'arrivo in massa del grande pubblico mi intrattengo a lungo con un addetto della centrale che soddisfa pazientemente alcune mie curiosità consentendomi anche di scattare alcune foto per questo mio blog. Resto sorpreso e affascinato dalla ricercatezza formale dell'edificio ma soprattutto dalla cura degli abbellimenti degli spazi interni. Mai avrei sospettato che questo fabbricato nato per produrre energia elettrica nascondesse una architettura così raffinata e di così grande pregio offrendo al visitatore uno incredibile ricchezza estetica e un straordinaria accuratezza nei dettagli.


Questa centrale è veramente un prezioso esempio di architettura industriale, un esempio più unico che raro: seppure da profano lo posso affermare senza indugi. Più tardi una veloce ricerca in internet me lo confermerà regalandomi alcune interessanti annotazioni su questa esemplare costruzione all'alba dei suoi novant'anni.
Prima di lasciare la centrale assisto nel suo cortile, ad una dimostrazione dell'antico procedimento di filatura della fibra del lino (organizzata dall'Associazine “Linum” Piccolo Mondo Alpino) che in tempi ormai lontani (ma probabilmente anche ai tempi del'”epopea idroelettrica”) era una pratica abituale nella vita contadina della valle.

Presente e futuro


Poi durante il rientro in auto osservo da lontano, dalla strada che da Cogolo scende lungo la valle, due centrali nuove, appena completate lungo il corso del fiume Noce. Non sono le sole. Altri impianti idroelettrici sono recentemente entrati in funzione o stanno per essere completati nel bacino del Noce. Molti altri se ne vorrebbero realizzare ma le richieste di nuove derivazione d'acqua necessarie per il loro funzionamento stanno suscitando discussioni e controversie. Da quanto sento e leggo sono molti i valligiani che si stanno organizzando (“Comitato per la difesa del Noce”) per bloccare lo sfruttamento idroelettrico del Noce. In effetti, per quanto ne so, le domande di sottrazione d'acqua a fini idroelettrici sono veramente tante e e penso che si renderà necessaria una moratoria per permettere di valutare approfonditamente il grado di sostenibilità ambientale di ciascuna richiesta.
Detto questo credo che, nel grande polverone, si possa alla fin fine vedere in modo chiaro il reale motivo del contrasto. Il tutto si riduce fondamentalmente ad uno scontro tra opposti interessi economici. Da una parte il grande business del momento, il business delle centrali dove conta solo l'incasso per gli investitori, per il pubblico o il privato che sia, e dall'altra il timore di perdere i proventi del turismo legato all'acqua (rafting, canoa, campionati vari sulle acque del Noce, pesca sportiva... e relativi lucrosi indotti) Questa la sostanza del contendere e della conseguente mobilitazione contro lo sfruttamento idroelettrico. Mobilitazione che coinvolge la popolazione colorandosi di “ecologismo” a difesa del Noce... "Ecologismo" che in altre situazioni di sfregio ambientale spesso connesso al cosiddetto “sviluppo turistico” mai si era visto, mai si era fatta ammiraro (se non in tempi molto lontani)...e mai si vede tuttora... anzi!.
E' fuori di dubbio che gli impianti idroelettrici lungo il fiume possono creare scompensi di varia natura ed entità diminuendo e alterando la portata dei corsi d'acqua ma, a mio parere, se il rilascio d'acqua rimane consistente, il danno è probabilmente molto contenuto... I nostri corsi d'acqua sono già intaccati da una elevata antropizzazione (dighe a monte e centrali già esistenti, opere di sistemazione idraulica, cave, agricoltura con malghe, stalle, concimi e fitofarmaci, industrie lungo gli argini, riversamenti inquinanti più o meno accidentali, pesca con ripopolamenti e immissione di specie ittiche non autoctone, manifestazioni e attività sportive sull'acqua... acque nere e rifiuti che in passato trovavano l'unica collocazione nel Noce...) e non si può certo affermare che siano ambienti da preservare integralmente perché vergini e di grande pregio naturalistico. Tuttalpiù alcuni tratti sono in via di parziale, inevitabilmente limitata rinaturalizzazione. Comunque nel complesso la sitazione dei corsi d'acqua è già alterata e le nuove eventuali centrali non dovrebbero aggravarla più di tanto... Gli impianti idroelettrici, se ben progettati (con il dovuto rilascio d'acqua che tenga anche conto dei periodi di magra e degli effetti del possibile cambiamento climatico sulle portate) dovrebbero avere un impatto sui corsi d'acqua più di natura paesaggistica (certamente importante e da non sottovalutare) che di valenza ecologica. Queste le mie impressioni da profano...
A mio parere (io pure mi permetto di dire la mia...) il problema andrebbe affrontato con uno sguardo al futuro che è alle porte, un futuro climaticamente preoccupante e di cui già si intravedono i primi segnali. Andrebbe affrontato con una visione ambientalmente allargata ad un contesto più ampio che supera i confini della valle e non si restringe a valutazioni naturalistiche limitate al locale e magari orientate a senso unico dalle parti in gioco. Andrebbe considerato e risolto non solo alla luce di venali, immediati interessi (pure importanti) e dei riflessi più o meno negativi sul nostro ambiente fluviale (come ho detto contenuti e comunque contenibili) ma alla luce dell'importanza fondamentale e prioritaria dell'utilizzo di fonti rinnovabili di energia, come quella idraulica, nel contrastare l'emergenza climatica. Meno anidride carbonica, meno effetto serra, meno preoccupazioni per i futuri decenni che se le cose non cambieranno radicalmente si prevedono molto caldi e secchi con ghiacciai quasi inesistenti, meno piogge, meno neve (già ora cannoni “sparaneve” all'opera, ghiacciai sciabili ben infagottati...), con possibili fiumi in secca e forse gommoni e canoe all'asciutto per lunghi periodi... in ogni caso... Certo l'apporto di energia pulita della Val di Sole con le eventuali nuove centrali è ben poca cosa nel contesto globale ma tutto è utile e tutto può servire e ognuno correttamente dovrebbe fare la propria parte seppure piccolissima... ... naturalmente con equilibrio, dopo attenta valutazione della sostenibilità ambientale di ciascuna nuova realizzazione...


Malga Val Piana

Dal paese di Ossana all'Agritur Malga Valpiana


Sul "sinter de la lec" nel tratto che costeggia il "Rio Fos".
Riproduzione leggermente ritoccata con PSE di un mio piccolo, antico, olio su legno.

Passeggiata di fine agosto che coniuga l'utile al dilettevole: lunga, sana, camminata nell'aria frizzante del mattino fino all'Agritur Valpiana per gustare ed acquistare i genuini insaccati e i saporiti formaggi di malga.

Salgo per il sentiero che da Ossana segue a ritroso il percorso della "lec"


Della "mia" Val Piana ho già scritto a lungo in altri post, più o meno ricchi di fotografie, brevi filmati e disegni.
Questi i titoli con link ai post:


Il "Rio Fos" in magra lungo il sentiero













Riciclo quindi qualche paragrafo di quanto ho già scritto limitandomi ad alcune integrazioni e aggiornamenti...

I pascoli di Val Piana intisi della rugiada di fine agosto






Val Piana è, come dice il suo nome, una piccola valle pianeggiante tenuta a pascolo, con i ripidi versanti completamente rivesitti di fustaie di abete rosso, di abete bianco e di larice.










Sole radente sulle mucche al pascolo






Si trova a monte dell'abitato di Ossana. La si raggiunge anche in automobile (qualche anno fa era attivo un servizio di bus navetta ora purtroppo dismesso) salendo dal piazzale della parrocchiale per la strada che, attraversato il nucleo residenziale di abitazioni sparse del Taiadon, si inoltra nel bosco.
Ombre lunghe di fine estate. Pace e silenzio dopo la confusione di ferragosto.














La strada è stata recentemente sistemata e resa più agibile e sicura pur rimanendo una strada di montagna non asfaltata.
La strdina che porta alla malga














Personalmente preferisco salire per il "Sentiero della lec" che in una quarantina di minuti porta all'imbocco della valle passando per una zona molto particolare che merita veramente di essere percorsa ed esplorata. Un mio post descrive questo tracciato molto suggestivo.
Si apre il panorama verso le "Pozze" e i monti della "Vegaia"














Nella malga recentemente ristrutturata si possono acquistare ottimi prodotti dell'alpeggio, formaggi e insaccati e consumare spuntini e pasti.
Il "Corno di Bon" fa da sfondo alla Val Piana. Sembra così vicino e raggiungibile...















In definitiva Val Piana è una località complessivamente ben tenuta che finora si è conservata abbastanza integra nella sua antica veste contrariamente a quanto è accaduto ad altri analoghi siti di montagna.
Ecco la ristrutturata Malga Val Piana...











Siti eccessivamente antropizzati, talvolta urbanizzati in modo selvaggio e speculativo che in nome di un momentaneo vantaggio economico e di una confusa visione del progresso sono destinati a produrre (e in taluni eclatanti casi producono già ora...) nel medio e nel lungo periodo più svantaggi che vantaggi, creando problemi di risanamento ambientale e costi non preventivati per l'amministrazione pubblica: icone di regresso e non di un progresso stabile e duraturo.
...Aritur, pulito e ben tenuto






E' auspicabile che in Val Piana il buon senso prevalga magari a discapito della creatività e che taluni progetti di cosiddetto “sviluppo turistico” di cui si inizia a vociferare (...progetto “zipline” che consentirà di scendere appesi ad un cavo aereo da Malga del Dos al paese, con tre «balzi» nel vuoto, attraversando volando Valpiana, area che l’amministrazione comunale sta da tempo cercando di valorizzare, e che sarà oggetto di numerosi interventi allo scopo di favorire attività economiche e garantire nuove attrattive turistiche. - Dal quotidiano “l'Adige” online) vengano ben ponderati prima di essere attuati trasformando anche questa zona in un ennesimo luna park (visto che “la natura non basta ai turisti... … i nostri monti si trasformano in luna park” - Anna Carissoni).
Rustica costruzione con gerani rossi e tedine alle finestre






Penso e dico questo perché sono amico di questa piccola valle che spesso visito ritrovandovi i segni di un ambiente ancora integro, l’impronta di un paesaggio antico nei suoi pascoli, nei suoi boschi e nelle acque libere e lipide che la percorrono.
Caseificio e spaccio













Ma soprattutto credo di non essere il solo a bearmi di questo bucolico paesaggio, credo che siano ormai moltissime le persone, i turisti (e penso che lo saranno sempre più in futuro) che non cercano la montagna trasformata in “luna park” ma cercano siti integri non omologati alle sirene dello sfruttamento turistico intensivo rifuggendo da certe estemporanee attrattive turistiche...
Il ritorno: si attraversa il pascolo a valle della malga...













Vogliono siti dove la natura non venga snaturata, seguendo mode effimere, ma altresì vi sia un connubio rispettoso tra ambiente e insediamento umano.
...e si discende lungo il "sinter de la lec"




Località dove si valorizzino e si integrino le tradizionali attività agricole e artigianali con l'attività turistica puntando ad uno sviluppo sostenibile, non invadente, non dettato dalle manie del momento...



Altre foto in "Google Photo"


Lungo el "sinter de la lec"
Disegno a matita












Il "Sinter de la lec"


Bello questo sentiero che dall'abitato di Ossana conduce in poco più di mezz'ora in Val Piana Suggestivo, con un tracciato molto particolare che costeggia nel suo tratto iniziale una "lec" che nel dialetto locale sta ad indicare una canaletta di irrigazione. La lec trasporta l'acqua nei prati sottostanti prelevandola del torrente "Fos": il Rio Val Piana Nel secondo tratto il sentiero si inerpica accanto al rio ed è veramente spettacolare soprattutto durante i mesi primaverili quando il torrente si gonfia d'acqua per lo scioglimento delle nevi sul monte Giner o durante le piene nei periodi di forti piogge estive o autunnali.  



Il grande gelo





Sette gennaio.
Con l'anno nuovo è arrivato il grande freddo e non è di sicuro un freddo metaforico... non è la brutta aria che già da qualche tempo tira dall'altra sponda dell'Atlantico, l'allegorico vento gelido che tanto preoccupa perchè ghiaccia l'anima... Quello che è arrivato ai primi di gennaio è proprio gelo vero, gelo concreto, freddo reale. Freddo che tocca il corpo, punge viso e mani, freddo che penetra sotto gli abiti, che ghiaccia i movimenti, attenua i riflessi, annebbia la mente...



Tutto è gelato ma la neve ancora non si è vista (e non si vedrà ancora a lungo). La sola neve presente in valle è... lo dico con Mauro Corona, << è quella surrogata, quella falsa, sparata in grandi dosi sulle piste da sci per trasformare la montagna in un frenetico luna park. E' solo neve artificiosa, surrogato della neve vera...>> Solo neve falsa. E quella vera? Sempre più rara sulle nostre montagne. Mistero? Conseguenza del cambiamento climatico, dono dell'effetto serra, regalo dell'insipienza umana? Non si sa... Il gelo comunque ora non manca di certo...



Risalgo ancora una volta lungo le sponde del Torrente Vermigliana prima del mio rientro in città. Già lo feci all'inizio di novembre (lo raccontai nel post “Gelide acque autunnali”) e lo ripetei qualche giorno fa (post “Gelide acque invernali”) ma oggi, all'inizio di gennaio, trovo un ambiente completamente diverso. Oggi tutto è ghiacciato. Il grande freddo ha gelato il paesaggio. Ha gelato il torrente ma non solo, ha gelato anche i suoni. Tutto tace nell'aria secca, tersa e gelida. Anche i mormorii delle acque oggi sono ghiacciati. Giungono ovattati, spenti... in un silenzio quasi irreale.



L'angusto fondovalle è in ombra, il sole non lo sfiora dal mese di ottobre. Oggi però c'è una luminosità nuova. Un freddo chiarore che rischiara le sponde e i dintorni del torrente, i massi granitici, le erbe secche, i cespugli, gli alberi scheletrici che lo contornano. E' un paesaggio incolore, smorto senza la neve ma che oggi sembra rianimarsi. La luce riflessa dal ghiaccio che copre il torrente riesce a ravvivarlo. E' una luce gelida, leggermente livida, diffusa da un ghiaccio opaco, pallido, biancastro, appena venato d'azzurro... un ghiaccio... glaciale.






Una massa compatta di gelo, continua, ininterrotta copre l'alveo del torrente... avvolge le acque, le imprigiona, le libera solo nei tratti più ripidi dove possono precipitare sfuggendo alla morsa del freddo..





Ghiaccio che tutto ricopre, che rischiara e che attrae, che incuriosisce con le sue fantastiche forme, le sue strane architetture, le sue astratte sculture... Ghiaccio che cresce a vista d'occhio, che si stratifica in formazioni composite, sempre più complesse, governato dal freddo e dal mutevole percorso dell'acqua...






Acqua che lentamente solidifica, ghiaccia mentre avanza, acqua in rivoli e schizzi che gelano precipitando dal coronamento delle briglie. Ghiaccio che ingloba sassi e macigni, che incorpora, a poco, a poco i cespugli di salice cresciuti sulle minuscole golene a monte delle briglie.






Un paesaggio fantastico, difficile da vedere... che solo l'arrivo repentino delle gelide correnti settentrionali può creare e donare... ma non sempre, solo in alcune straordinarie occasioni... che in un futuro non lontanissimo potrebbero essere sempre più rare...

  
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Il pomeriggio della “tosada” a Pejo Paese







8 settembre.
Salgo a Pejo Paese in un primo pomeriggio limpido e ancora caldo di fine estate. Parcheggio l'auto lungo la strada provinciale, qualche centinaio di metri prima di penetrare nell'abitato. Non voglio correre il rischio, al ritorno, di trovarmi imbottigliato in un traffico inusuale per le strette vie di questo antico villaggio alpino.





Percorro a piedi il panoramico tratto di strada che mi separa dalle prime case del paese. Non sono solo. Numerose, altre persone mi seguono. Sono gli ultimi vacanzieri della stagione che tardano a rientrare in città attratti quassù dalla tradizionale “tosada” delle pecore che da sempre si ripete a Pejo Paese prima che arrivi il fresco dell'autunno.




Da alcuni anni questo evento, rimasto a lungo sconosciuto ai più, viene pubblicizzato in tutta la valle. Incuriosito ho pensato di parteciparvi. L'amico di tante passeggiate ed escursioni me ne ha parlato più e più volte raccomandandomelo come un'occasione da non perdere... però c'è da dire che il suo bel ricordo risale a molti anni fa quando la "tosada" non era un "evento", quando della “tosada” nessuno sapeva, nessuno vi assisteva... se non per puro caso.




Manca parecchio all'arrivo del gregge. Le pecore (mi dicono siano quasi trecento) sono ancora lontane. Stanno scendendo dai pascoli alti della montagna. Quindi nel frattempo posso visitare il paese, percorrere le sue stradine alla ricerca di antichi, agresti scorci. Quassù si possono ancora incontrare rustici masi e vetusti casolari talvolta, purtroppo, disordinatamente mischiati a nuove architetture non sempre ben integrate nel contesto del vecchio abitato.



Mi muovo in modo del tutto casuale e mi ritrovo nei pressi della stazione della funivia che collegava Pejo Paese con Cogolo. Quanti ricordi! Quante volte vi sono salito da bambino! Ora è ferma, un rudere dismesso da decenni... Peccato... Sarebbe tanto utile e comoda per gli abitanti di quassù, per i residenti ma anche per i turisti che frequentano questo villaggio alpino. Un paese bello, pittoresco e pieno di sole ma così distante, così lontano dal fondovalle. Un paese che fu da record essendo stato il più alto paese dell'impero asburgico e che pure ora conserva il record altimetrico ma solo del Trentino. 





Evidentemente si ritiene molto più vantaggioso investire altrove. Investire sui monti di Pejo, moltiplicando gli impianti di risalita per la pratica dello sci e riducendo la montagna (interamente inclusa nel Parco dello Stelvio) con i suoi bei boschi e i suoi pascoli ad una selva di funi e di piste terrose e ben livellate...



Ma bando ai ricordi e alle considerazioni più o meno polemiche...
Mi aggiro per le vie del paese, ritrovo la strada che porta alla ristrutturata Malga Talè con l'interessante percorso tematico dedicato ai tetraonidi, poi lentamente mi avvicino al centro del paese e raggiungo la piazza ai piedi della chiesa quattrocentesca dedicata ai Santi Giorgio e Lazzaro. Un maestoso San Cristoforo in affresco posto sulla parete del mastodontico campanile incombe e vigila sulla folla in attesa del gregge.





Sono veramente moltissime le persone che si sono radunate quassù per questa circostanza. Molte le bancarelle del mercato contadino e altro... Penso che in ben poche altre occasioni, durante l'intero anno, si crei un simile affollamento per le vie di questo antico insediamento di montagna.




Mi porto nella parte più alta della piazza dove si imbocca la strada che sale al colle di San Rocco e quindi al Laghetto di Covel. Sono in compagnia di qualche decina di “cacciatori d'immagini" che si accalcano attendendo la discesa delle pecore per riprenderle d'infilata... ma le pecore si fanno attendere a lungo. Qualcuno mormora che i pastori hanno frainteso e le hanno guidate su di un percorso diverso da quello concordato.







Poi finalmente risuonano campanelli e belati e in alto, sulla strada in cima al pendio, appare il gregge.






Con un pastore in testa e uno in coda il gregge sfila tra valligiani e turisti e si raduna nel recinto predisposto davanti al caseificio, l'ultimo "Caseificio Turnario" presente in Trentino.







Impossibile avvicinarsi, un muro impenetrabile di curiosi copre totalmente la vista.





I proprietari (gli ultimi appassionati allevatori di Pejo, probabilmente meno di una decina) si avvicinano, entrano nel recinto, riconoscono e recuperano con qualche difficoltà i propri capi e li accompagnano, talvolta letteralmente li trascinano, verso le stalle.






Chi ha la stalla fuori paese o comunque lontana dalla piazza spinge le pecore sul rimorchio del trattore, qualcuno addirittura le infila nel bagagliaio dell'auto... è la modernità...





Seguo un trattore con il suo carico fino ad una piccola stalla e assisto alla tosatura delle pecore effettuata con grande perizia  usando delle tradizionali grandi forbici. Più avanti avrò modo di vedere una “tosada” eseguita più rapidamente con una piccola tosatrice elettrica.






I proprietari delle pecore mi raccontano che la lana ormai non ha più alcun interesse commerciale e in paese non viene più utilizzata se non in quantità trascurabili per ricavarne simpatici manufatti per i turisti.






E' comunque importante mantenere viva una lavorazione tradizionale e non disperdere un patrimonio di antiche conoscenze e di abilità artigianali. E poi, mi si dice, non si sa cosa il futuro potrebbe riservaci....





Oggi nemmeno i materassi vengono più imbottiti di lana. Ma le pecore devono essere comunque tosate per l'igiene e per la loro salute. Questo mi mi viene raccontato in termini molto coloriti. La lana non vale nulla, il latte non si munge... la pecora si alleva solo per l'agnello ma soprattutto è importante perché pascolando mantene puliti pascoli e prati abbandonati attorno al paese.






Quasi tutte le pecore ben tosate ritornano nel recinto pronte per riprendere all'indomani il cammino verso la montagna dove rimarranno fino a fine ottobre o fino alla prima nevicata. Solo alcune restano in paese, nella loro stalla, in attesa del parto ormai vicino.






Ancora una passeggiata per quelle strade del paese che ancora non ho calpestato e poi, lentamente mi dirigo a valle raggiungendo l'auto sulla strada per Pejo Terme.




Che dire? Interessante. Un pomeriggio ben speso.
Una pratica che non conoscevo, un rito antico che qui si mantiene e che si intende perpetuare nel tempo.
Oggi, inevitabilmente, il giorno della “tosada” si trasforma anche in una festa, quasi in una sagra. Uno dei pesanti lavori che un tempo erano essenziali per il sistema agricolo del paese si converte oggi anche in attrattiva a beneficio della promozione turistica dell'intera valle.





La gran confusione, la presenza di tanta gente, gli stessi allevatori trasformati in ciceroni pronti a soddisfare ogni curiosità, fanno certamente disperdere parte della agreste spontaneità e del fascino rurale che così bene mi aveva descritto il mio compagno di escursioni spingendomi a salire a Pejo Paese per la “tosada”.




Ma va bene così. Integrare attività artigianali, agricole e di allevamento con l'ospitalità turistica valorizzandole reciprocamente è senz'altro un fatto culturalmente positivo e vantaggioso economicamente... son ben altre le iniziative di “sviluppo economico” che impensieriscono per la loro eccessiva invasività ambientale a Pejo, proprio all'interno di un parco nazionale di grande pregio...


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